Una nuova forma di fiducia può portare a una nuova economia?

Una nuova forma di fiducia può portare a una nuova economia?

In un ambito così articolato e diversificato come quello della sharing economy non mancano certo occasioni per ampliare il dibattito e il confronto pubblico, quantomeno nel panorama statunitense. Stavolta ci prova un editoriale del New York Times centrato sull’evoluzione della fiducia e sui rapporti di tipo nuovo innescati dall’economia della collaborazione.

Chiarendo di avere sottostimato i fattori di crescita del movimento globale («Oggi Airbnb conta circa 550.000 offerte in ogni parte del mondo, il servizio è stato usato da 11 milioni di persone ed è finanche più popolare in Europa che in Usa»), il noto opinionista David Brooks spiega: «Nelle economie primitive, il commercio avveniva per lo più a livello di villaggi e comunità. La fiducia si stabiliva faccia a faccia.  Poi nell’economia di massa abbiamo imparato ad acquistare da brand stabili e famose, il cui comportamento era controllato dalla regolamentazione statale. Oggi vanno usate nuove formule per calcolare la fiducia. … Molta gente vive al di fuori delle grandi strutture istituzionali ed è solita avere un approccio veloce e fluido nei legami sociali. Avendo perso fiducia nelle grandi istituzioni, al confronto gli estranei non sembrano porre così tanti rischi. … Diventa normale muoversi in situazioni ad hoc e affidarsi alla cultura personalizzata».

Terreno più che fertile per il commercio peer-to-peer, prosegue l’articolo, che non a caso preferisce (e si basa su) normative parimenti leggere e fluide. Pur con i recenti interventi delle amministrazioni locali, per incidenti e problemi derivanti dall’attività di Airbnb e Uber, «non sembra esserci intenzione di imporre norme e controlli rigidi: le agenzie centralizzate stanno cercando di rapportarsi alle reti della fiducia decentralizzata. Inoltre, nella maggior parte delle città la gente sembra rendersi conto che qui si tratta di un’economia meno formale e vige la norma non scritta del “stia in guardia il compratore!”».

Scenario in cui non vanno ovviamente dimenticati il rating e la reputazione online, elementi che ci seguono ovunque e diventano incentivi verso un settore sostenibile e affidabile in tutti i sensi, per quanto auto-gestita. Ovvero: «l’economia peer-to-peer prospera in quest’area grigia, dove i meccanismi per la fiducia privata si fanno più efficienti e il ruolo delle autorità resta minimo», conclude l’editoriale del New York Times.

In calce al quale si sono accumulati in pochi giorni oltre 230 commenti, la gran parte dei quali appoggia la visione cauta ma ottimista di Brooks, scrivendo per esempio:«Non deve sorprendere il successo del modello dell’economia collaborativa, visto soprattutto la lenta ripresa economica nel mondo». E ancora: «Oggi i giovani sono assai scettici di ogni cosa ‘grande’. Incluse storie come Facebook ed eBay, se è ‘big’ non ci possiamo fidare».

Un lettore si qualifica come ‘host di Airbnb’, aggiungendo che «l’unica ragione per cui la sharing economy attira così tanta gente è per via della disoccupazione e dell’inesistenza di opportunità e salari garantiti. Specialmente per persone di una certa età, nel mio caso oltre i 45 anni». Né mancano, infine, posizioni opposte: «Stiamo assistendo alla riduzione a beni di consumo di azioni, pensieri e approcci individuali, e ciò a nostro danno. In tal senso, chi ricorre ad AirBnB non pensa ad altro che a massimizzare i beni acquisiti finora, anziché cercare di mantenere qualche parvenza di tutela culturale di spazi e sfere di vita personali ».

Il dibattito pubblico, insomma, è più aperto che mai: meglio animarlo e dire la propria, no?

–Bernardo Parrella

Bernardo Parrella. vive da anni nel Southwest Usa e collabora come giornalista freelance, editor, traduttore e attivista con testate e progetti italiani e internazionali. L’ultima sua traduzione è “Rewire” di Ethan Zuckerman presso Egea/Bocconi.