Un piano di comunicazione oggi: cosa cambia e come si fa

Un piano di comunicazione oggi: cosa cambia e come si fa

Un piano di comunicazione oggi: cosa cambia e come si fa

Ai tempi dei social e poi delle community, la comunicazione così come la conoscevamo un tempo non ha più senso di esistere; oggi il consumatore è cambiato, e davanti a consumatori-attori, più attenti e attivi, bisogna intraprendere un rapporto più adulto e consapevole. In una parola: trasformare il proprio pubblico – clienti o collaboratori- in una community.

Questo non vuol dire, badate bene, chiamare i propri clienti o collaboratori membri, ma costruire senso e produrre valore insieme. E’ questo l’obiettivo che, credo, debba porsi chi, oggi, abbia intenzione di fare un piano di comunicazione che soddisfi a pieno le esigenze dei propri clienti o collaboratori.

Vediamo 5 passaggi chiave su come si fa e cosa cambia.

    1. Definire gli obiettivi: dalla mission al purpose

Anche questo lo abbiamo letto più volte ma non un piano di comunicazione oggi non può che partire da qui. La comunicazione alta, autoreferenziale, con una mission distante e poco comprensibile, non funziona più. Questo non significa per forza prendere posizione sui grandi temi del nostro tempo, cosa piuttosto complicata e non tanto nella cultura delle nostre organizzazioni italiane, ma costruire semplici contesti di senso all’interno delle quali le persone si possono ritrovare. Lo fanno alcune aziende come Gengle il cui obiettivo è semplicemente riunire in piccoli eventi genitori single, ma anche grandi aziende come Adidas che aggrega gli amanti della corsa per condividere allenamenti, consigli alimentari, ecc; o anche Miro che ha una community enorme di persone che sperimentano e condividono il proprio prodotto. Il piano di comunicazione deve quindi prevedere uno scopo da raggiungere, semplice, comprensibile, accattivante in modo da aggregare le persone e farle muovere intorno a piccole azioni di cambiamento.

“Trasformare il proprio pubblico in una community non vuol dire chiamare i propri clienti o collaboratori membri, ma costruire senso e produrre valore insieme.”

Adidas community

 

    1. Definire il racconto: dallo storytelling allo storydoing

Definire la narrazione di un piano di comunicazione per una community, significa quindi, non più raccontare l’azienda e la sua missione, ma descrivere il valore condiviso, ciò che si fa insieme, i traguardi raggiunti, le persone che ne fanno parte. Il “noi” non è più un plurale maiestatis ma è la parola che esplicita il patto di fiducia reciproca stabilito tra l’organizzazione e i suoi membri, perché entrambi si riconoscono nella stessa proposta di valore. Ma non solo: la narrazione deve essere anche molto semplice, in grado di arrivare a tutti, e aggregante perché deve riuscire a attivare chi già fa parte della community, ma anche raggiungere nuove persone in modo da garantire lo sviluppo e la crescita.

 

    1. Definire il messaggio corretto: dal prodotto alle persone

E’ facile capire quindi che un piano di comunicazione per una community non sarà più focalizzato sul prodotto ma sulle persone. Non è che del prodotto non si debba più parlare ma l’attenzione deve essere sicuramente spostata più sull’uso che si fa insieme del prodotto, sul suo valore, sui fatti e sulle persone che lo utilizzano. Nella community di Miro si parla in continuazione del prodotto, ma spesso sono le persone che lo fanno. Sono loro che chiedono aiuto, che spiegano come si usa, che organizzano workshop. Chi organizza la comunicazione facilita, sottolinea, stimola, aggiunge contributi, sostiene, fa incontrare le persone. Invece di parlare del prodotto, è bene che un piano di comunicazione oggi informi su cosa fa la community con i prodotti, celebri le persone che li utilizzano attivamente, fornisca approfondimenti e lanci delle discussioni.

 

    1. Definire i contenuti: dalla comunicazione alla conversazione

Sarà ormai chiaro, dunque, che ai tempi delle community – quindi ai nostri tempi – si dovrebbe fare sempre meno comunicazione e sempre più conversazione. Il piano quindi non deve prevedere solamente informazioni, notizie e così via ma deve soprattutto favorire la discussione. Sono queste che creano e alimentano le relazioni e che permettono alle persone di scambiare una grande quantità di informazioni. Per questo all’interno di un piano di comunicazione è necessario prevedere contributi che stimolino discussioni intorno alla risoluzione di un problema, allo scambio di opinioni e notizie, a racconti di esperienze, e così via. E il ruolo di chi promuove il piano non è più solo quello di promuovere ma di stimolare, ascoltare, raccogliere e rilanciare. Insomma: creare valore per i membri e non per se stessi.

 

 

Miro Community

“Invece di parlare del prodotto, è bene che un piano di comunicazione oggi informi su cosa fa la community con i prodotti”

 

    1. Definire il ritorno dell’investimento: dal lead alla relazione

Le discussioni creano relazioni e le relazioni creano community. Se questo è vero allora anche la misurazione dell’investimento dovrà puntare a rilevare non tanto i famosi lead, incubo di tutti coloro che si occupano di comunicazione, ma la partecipazione dei membri alla discussione e alla vita dell’organizzazione. Che cosa significa esattamente? Significa mettere in campo tutta una serie di rilevazioni che monitorano non solo il gradimento ai miei stimoli di conversazione ma, soprattutto, la partecipazione. Vuol dire misurare, per esempio, il:

    • numero di partecipanti alle discussioni e agli eventi
    • numero dei contributi spontanei dei membri
    • numero di chi contribuisce più volte alle discussioni o agli eventi portando valore
    • numero di chi è disposto a mettersi in gioco per la community
    • numero delle persone che propongono spontaneamente attività, idee, spunti per far crescere la community
    • e così via.

Ma attenzione: non solo numeri. Un buon piano di comunicazione dovrà prevedere anche momenti di ascolto qualitativi che passano attraverso la raccolta dei feedback, brevi survey, momenti di raccolta di idee e co-progettazione, chiacchiere più o meno formalizzate.

Insomma l’obiettivo di chi ha la responsabilità di gestire la comunicazione interna o esterna alla propria azienda non deve più essere solo quello di comunicare il brand e i suoi valori, ma costruire una relazione con chi coinvolge e ingaggia. E questa non si costruisce  lasciando immaginare vaghi scenari autoreferenziali, ma tessendo ogni giorno un rapporto con le persone secondo logiche di senso. Un lavoro certosino che richiede tempo ma dal quale oramai non ci si può esimere perchè a chiederlo sono i clienti e i collaboratori perchè a chiederlo sono i clienti e i collaboratori. E la punizione per non soddisfare le loro richieste può essere l’incubo più temuto in chi si occupa di comunicazione: l’irrilevanza.

 


Photo by Andrew Neel on Unsplash

 

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