Turo: un Airbnb a quattro ruote (quando c’è un’auto al posto della stanza)

Turo car sharing

Turo: un Airbnb a quattro ruote (quando c’è un’auto al posto della stanza)

di Nicola Palmarini

Si chiamava RelayRides fino a qualche mese fa, oggi e’ Turo, una ex start-up (con $47 milioni di capitalizzazione dopo il rebranding) che porta agli estremi i paradigmi della sharing economy. Non tanto perché il modello sia particolarmente innovativo, quanto perché osa mettere in condivisione uno degli oggetti più intoccabili dell’immaginario maschile (e non solo): la propria auto. Quella personalissima e idolatrata icona considerata una sorta di estensione della personalità (e non solo). Prestarla a una sorella o a un amico era già una eccezione, metterla a disposizione di uno sconosciuto un’eresia. Fino a quando non arrivò la sharing economy a spiegarci che “sì anche questo tabù si poteva sfatare” e amen l’ostentazione del possesso: decisamente più fico usare anziché avere.

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Collaboriamo nasce nel 2013 come organizzazione leader nella promozione e diffusione dell’economia collaborativa in Italia. Dal 2013 al 2017 ha curato e organizzato Sharitaly, il più importante evento in Italia sulla sharing economy, e ha pubblicato ogni anno un report sullo stato dell’economia collaborativa in Italia (puoi scaricarli qui).

Nel tempo ci siamo specializzati nel disegno di modelli di business innovativi a piattaforma sviluppando un framework capace di definire gli strumenti e l’usabilità necessari per predisporre la crescita dei servizi. Dai progetti di formazione e consulenza erogati in questo ambito, abbiamo maturato l’esperienza che ci ha permesso di sviluppare oggi un approccio originale e nuovo di community design.

Collaboriamo si occupa di community design, disciplina che studia come creare il contesto affinchè le persone co-creino valore con le organizzazioni.
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Turo è diverso dagli altri sistemi di carsharing come CartoGo o Zipcar. Qui la condivisione è tale nella sua accezione più vera: non ci si affida ad una flotta di veicoli gestita da altri. Funziona come Airbnb, l’unica differenza è che – al posto di una stanza – qui si offre la propria auto. Rispetto alla sua versione ante-rebrand (che ho provato di persona e di cui racconto più sotto) si può noleggiare solo per l’intera giornata. Una delle (piccole) differenze rispetto ai suoi competitor come Getaround che permette anche il noleggio orario o FlightCar che si basa su un modello di business più di nicchia e al quale la stessa Turo sta mirando: noleggiare il proprio veicolo quando si deve fare un volo in modo da evitare la canonica “immobilizzazione” del bene. Entrambe sono nella mia lista prove. Oggi però vi racconto di Turo.

Lo provo a Boston in un week-end d’estate. Dopo il solito download della app e l’iscrizione al servizio via Google, devo lasciare i dati della patente, la carta di credito, una breve profilazione sulle preferenze (tra cui la domanda chiave: sai usare una macchina con il cambio manuale?) e – attesi i controlli di back-end – sono pronto a prenotare la mia auto. Veloce, efficace, non più di 10 minuti per il tutto, il tutto via mobile. Cerco una macchina qualsiasi per l’intero week-end (dal venerdì pomeriggio al lunedì mattina) e soprattutto la voglio vicino all’ufficio così da non avere problemi nella presa-riconsegna. Le auto a disposizione sono ganze – dalle Prius alle Audi A8, ma anche piuttosto care. Rifletto sulla psiche del locatore (non saprei come altro definirlo e la parola italiana suona un tantino demodè, ma tant’è): “ok la sharing economy, ma la mia amata BMW/Mercedes/Mini/Honda non può valere meno di… In mezzo a offerte che variano da da 70-200 dollari e passa al giorno trovo una Saab 9-3 a 40 dollari. Cifre che però si rivelano decisamente competitive rispetto, ad esempio, alla nuova paladina Americana del trasporto condiviso, quella Zipcar che da quando è stata acquisita da Avis ha visto le sue tariffe accomunarsi tristemente sempre più a quelle di un rent-a-car qualsiasi: a parità di classe del veicolo un’auto Zipcar costa, al giorno, 125 dollari. Un’enormità se paragonata a Turo, enormità che non giustifica in alcun modo il prendi e usa per un paio d’ore. Zipcar ha appena introdotto la modalità one-way in alcune zone selezionate di di alcune città, modalità che non forza l’utente a riportare la macchina esattamente dove l’ha presa, ma che è comunque ancora lontana anni luce dalla comodità di un “prendi e lascia dove ti pare” tipica di Car2Go.

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Contatto Nicolas, il mio olocatore, e, sempre via app, lancio la mia richiesta. Da qui in avanti scatta uno scambio di messaggi (alla fine conto 25 interazioni, tutte interne alla app) per accordarci su tutti i vari passaggi. Compresa la risposta alla famigerata domanda se so guidare una macchina con il cambio manuale. Lo stress è dovuto al fatto che qui in USA, come ben sapete, guidano tutti automatico e pigiare la frizione e muovere la leva è davvero una eccezione per piloti provetti. Prima di confermare mi viene richiesto se sono interessato a un’assicurazione extra rispetto a quella offerta di base e compresa nel costo del noleggio. Dovete sapere che è Turo ad assicurare il mezzo nel periodo di utilizzo shared. Di principio mi fido sempre del customer care di questo genere di servizi – fa parte della psicologia dello sharer credo: in ogni transazione generata da una impresa dell’economia condivisa, la fiducia gioca un ruolo chiave, ma – essendo una prima volta – preferisco in ogni caso pagare per l’assicurazione aggiuntiva, cosa che fa salire il costo a 48 dollari al giorno. Mi trovo con Nicolas un venerdì alle 18 davanti a casa sua. Quando ci incontriamo scopro che anche per lui è la prima volta. E leggo nei suoi occhi il terrore: si sta chiedendo se quella di dare la sua Saab a questo italiano non sia, alla fine della fiera, una enorme cazzata. Mentre con il piglio dei novizi seguiamo le varie raccomandazioni di RelyRides/Turo (tipo fare la foto del contachilometri prima di partire e accordarsi sul livello di carburante) Nicolas mi racconta che è cileno e studia a Boston. Da quando si è trasferito dalla Florida non usa praticamente più la macchina che rappresenta, tra garage (indispensabile qui) e assicurazioni un costo sempre più pesante sul suo budget. Al punto che prima di partire mi fa capire che sarebbe ben felice di venderla, la sua Saab. Ma io sono qui in missione per condividere, non sono qui per possedere amico mio. Superato il piccolo debriefing sui comandi della Saab (che ha la chiave d’accensione dove di solito c’è un portacenere…) parto dando un’ultima occhiata nello specchietto allo sguardo di Nicolas: che assomiglia terribilmente a quello del padre che lascia andare la figlia per la prima volta in vacanza con il fidanzato. La macchina è a posto, va tutto liscio e Nicolas mi dovrà pure ringaziare per la manutenzione fatta ai suoi pneumatici decisamente a terra. La riconsegno il lunedì mattina senza nemmeno incontrare di persona il mio locatore. Mollo la Saab in garage, lascio le chiavi dove abbiamo concordato. Dopo un paio d’ore mi arriva il feedback. Ci scambiamo le nostre 5 stelle, da fieri attori dell’economia condivisa.

Considerazioni

Ha senso? Sì ha decisamente senso in un mondo oberato di automobili che spesso sono lì a non fare nulla se non occupare posto lungo I marciapiedi o a riempire il cemento di un garage.

Ha senso perchè permette di incassare qualche euro e magari di coprire le spese del mezzo o degli annessi. GetAround stima addirittura 10000 dollari all’anno di guadagno. Ovviamente da dimostrare.

Forse ha più senso di sistemi come i citati Car2Go o Enjoy perchè non aggiunge altri mezzi circolanti.

In ogni caso la questione relative al traffico è tutta da verificare: l’unico modo per non avere traffico è non avere auto in giro. Per cui, sia Car2Go per citarne una, sia Turo alla fine il traffico lo generano, non è chiaro quanto davvero lo riducano. Anche se possiamo in qualche modo immaginarlo, oltre che sperarlo.

Modelli ancor più definiti, come FlightCar, sembrano aprire nuove strade. Forse più in termini di logiche di marketing e di percezione da parte del consumatore che di idea di fondo vera e propria, ma la sharing ci ha subito insegnato che il diavolo ènelle pieghe dei dettagli, nemmeno più nel dettaglio. E quindi non ci resta che capire quale sia il miglior driver per stimolare la domanda e alimentare l’offerta.

Funziona? Il servizio funziona, ma viene da chiedersi come mai non sia ancora esploso (l’idea è del 2010) al pari di Airbnb. La ricapitalizzazione di Turo mira soprattutto ad espandere il servizio che (manco a dirlo) non è ancora profittevole. Sono attese le future destinazioni nei prossimi mesi. Che ci sia l’Italia nei piani di sviluppo? Nel caso sarà un banco di prova durissimo: convincetelo voi uno come Furio a condividere la sua 131 Giardinetta.

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Nicola Palmarini – Dopo la laurea in Scienze politiche alla Cattolica di Milano e i corsi in Comunicazione alla University of Washington di Seattle, Nicola lavora per più di dieci anni nel mondo delle agenzie pubblicitarie. Lancia il brand Tin.it e segue passo dopo passo l’intera comunicazione del marchio Microsoft alla fine degli anni ’90. Entra in IBM nel 2000 all’interno del quale promuovere la creazione di servizi innovativi che si fondano sulla collaborazione, le tecnologie emergenti e i social media. Dal 2015 vive a Boston dove, per IBM Research, e’ responsabile dello sviluppo e della promozione di tecnologie per i disabili e la aging population. E’ autore di “Lavorare e Collaborare?” e di “Boomerang”, entrambi pubblicati da Egea. Scopri di più sull’autore: qui e qui