Sale la propensione a scambi e condivisioni

Sale la propensione a scambi e condivisioni

Gli italiani sono pronti a condividere? Secondo la ricerca di Duepuntozero (Doxa), che verrà presentata a Sharitaly il 29 novembre, sembrerebbe di si. In Italia, infatti, il 13% della popolazione ha utilizzato almeno una volta i servizi che permettono di scambiare e condividere i beni. Una percentuale che si avvicina al punto critico di diffusione di innovazione (15%) teorizzata da Everett M. Rogers oltre 50 anni fa, alla quale si deve aggiungere un altro 10% che si dichiara interessato, mentre il 59% degli intervistati conosce il fenomeno almeno per sentito dire. Dati che, tuttavia, mettono in luce anche un certo ritardo, se si pensa che il 52% degli americani ha affittato o prestato i propri beni negli ultimi due anni (Sunrun2012), che il 64% dei britannici (ThePeoplewhoshare) e un francese su due (Observatoire de la Confiance) ha dichiarato di prendere parte alla sharing economy. Un ritardo che non va attribuito, alla poca propensione degli italiani a condividere ma, piuttosto, alla poca conoscenza dei servizi e dei loro vantaggi. Gli intervistati rimangono colpiti scoprendo quanti servizi collaborative esistono in Italia, e ne sottolineano più volte il valore, non solo economico, ma soprattutto relazionale. La sharing economy diventa l’occasione per intrecciare nuove relazioni e recuperare quel capitale sociale che ha sempre fatto parte del nostro tessuto culturale (come ha scritto R. Putman), ma che è andato perso con la società dei consumi.

Certo non mancano i pregiudizi e le paure. La fiducia, infatti, è la prima barriera al diffondersi della sharing economy. Titubanza a condividere per un’innata diffidenza verso gli sconosciuti (“e se il mio ospite mi rovina la casa?”), che in Italia si mostra anche nei confronti delle piattaforme stesse (a chi consegno i mie dati?). Elemento questo sì tutto italiano: scarsa familiarità con internet e poca fiducia nelle garanzie sulla sicurezza online sono gli elementi che da sempre non fanno decollare l’ecommerce, o gli internet banking, e che creano ritardi anche nei servizi collaborativi. Per ovviare queste diffidenze gli intervistati suggeriscono alle piattaforme di evidenziare i pareri degli utenti, ma anche di fare accordi con istituzioni e grandi marchi.

Articolo apparso su Nova24 domenica 24 novembre 2013

La diffusione della sharing economy sembrerebbe passare quindi anche da comunicazione e grandi aziende. Il consumatore anche evoluto, come il campione di questa ricerca, per rassicurarsi e informarsi richiede ancora l’intervento di quelle strutture a cui è solito affidarsi. Un’occasione per imprese e per il mondo della comunicazione se solo sapranno interpretare la portata innovativa di questi servizi e il desiderio di cambiamento delle persone.