
02 Ott L’agenzia, le community e il terzo settore
Lo scorso mercoledì siamo andati in H-Farm a Treviso per partecipare al Supernova Agencies 2023, un evento organizzato da Wethod. Tra i diversi spunti che abbiamo ricevuto sicuramente il più interessante è stato quanto emerso dalla presentazione di Alessandro Mininno di Gummy Industries, un’agenzia digitale di Brescia. Mininno ha raccontato come è cambiato il loro modello organizzativo passando da un’azienda tipicamente gerarchica a un’azienda che noi definiremmo aperta e distribuita.
Un modello organizzativo distribuito
L’esperimento di Gummy si basa sul metodo Ren Dan He Yi ideato da Haier (di cui si parla già da qualche tempo), e che Mininno e i suoi soci hanno saputo personalizzare all’interno della loro agenzia.
L’esperimento inizia circa due anni fa quando i soci di Gummy si accorgono che la crescita dell’agenzia stava portando con sé burocratizzazione, lentezza, allontanamento dal mercato, poca motivazione e imprenditorialità da parte dei dipendenti. Ci si stava allontanando da un modello snello e divertente e per andare verso una direzione lenta e gerarchica. A quel punto i Gummy hanno deciso di ripensare il modello organizzativo implementando una struttura a ‘kitchen’ (cucine). Invece di un’unica azienda, l’agenzia è stata divisa in microaziende, appunto le ‘cucine’; sette di queste lavorano con i clienti, mentre una offre servizi amministrativi, commerciali e di ufficio alle diverse cucine.
Ciascuna cucina ha uno chef, ossia un manager che la gestisce in autonomia. Ogni chef può decidere il budget che gli serve, quali e quanti collaboratori scegliere, quanto retribuirli, quali scelte strategiche compiere. Tra le cucine si possono scambiare servizi in un mercato interno, e il ruolo dei senior officer di Gummy diventa quello di consulente di gestione e assistenza sulla strategia nel lungo periodo. A fine anno, se tutto va bene, ogni chef ha poi la possibilità di appropriarsi e allocare come preferisce il 20% dell’EBITDA ricavato.
I Gummy hanno deciso di ripensare il modello organizzativo implementando una struttura a ‘kitchen’. Invece di un’unica azienda, l’agenzia è stata divisa in microaziende.
La crescita delle community e la suddivisione in cellule
L’esperimento di Gummy è per noi rilevante perché crediamo che l’applicazione ai contesti organizzativi interni sia uno degli sviluppi presenti/futuri più interessanti delle logiche collaborative, e perché pensiamo che questo modello adotta gli stessi comportamenti delle community quando diventano grandi.
Quando infatti le community crescono, diventa inevitabile che i fondatori si trovino di fronte a situazioni simili a quelle che hanno dovuto affrontare i soci di Gummy. La nuova dimensione della community richiede nuove competenze e nuovi processi burocratizzando le attività e diventando più lente e complicate le risposte ai membri; i fondatori non conoscono più tutti i membri perdendo così il polso delle loro esigenze e non rispondendo più in maniera efficace ai loro bisogni; i nuovi membri, poi, sono tanti e inevitabilmente portano nuove idee, nuove esigenze rischiando, in alcuni casi, di sfilacciare l’identità e la cultura della community.
A quel punto la community ha due possibilità:
- la prima è fare un rebrand cercando di aprire la value proposition della community a un numero più ampio di persone (così da accoglierle tutte almeno culturalmente), e aumentando il personale (ma fino a quando è sostenibile?), con conseguente gerarchizzazione dei ruoli e dei processi (quindi rischiando di non risolvere il problema iniziale);
- la seconda è suddividere la community in tante cellule nominando per ciascuna un referente. Il referente sarà colui che porta avanti i valori della community ma declinandoli su uno specifico territorio, su una particolare linea di offerta o su target. In questo modo la community riesce a scalare e a non implodere; chi gestisce avrà la responsabilità di guidare e accompagnare i referenti delle singole cellule e non tutta la community; i referenti si sentiranno motivati a far bene, e avranno l’autonomia per farlo; il contatto con i membri sarà di nuovo veloce e attento ai loro bisogni perché la community è più piccola. Esattamente quello che sta facendo Gummy.
Quando infatti le community crescono, diventa inevitabile che i fondatori si trovino di fronte a situazioni simili a quelle che hanno dovuto affrontare i soci di Gummy. La nuova dimensione della community richiede nuove competenze e nuovi processi burocratizzando le attività e diventando più lente e complicate le risposte ai membri.
I rischi della crescita
Tutto facile? Niente affatto.
Se la divisione in cellule riesce e si trovano dei bravi referenti in grado di prendersi in carico la gestione della community, questa continua a crescere e a moltiplicarsi, ma si pongono inevitabilmente nuove sfide:
- come mantenere l’identità tra le sub community senza che si disperda in tante community diverse?
- come favorire la comunicazione trasversale per non trasformare in silos le diverse community?
- come facilitare la collaborazione e non la competizione fra le sub-community?
- come assorbire i fallimenti delle sub community che non funzionano?
Ecco le principali sfide delle community in crescita ed ecco le sfide che dovrà affrontare Gummy nei prossimi anni.
Sono tante – milioni di milioni diceva qualcuno – ma la continua sperimentazione vuol dire qualità.
E le cooperative italiane?
E infine una provocazione per chi si occupa di terzo settore: se le cooperative qualche tempo fa, quando hanno iniziato a diventare grandi, invece di crescere in altezza (burocratizzandosi) fossero cresciute in larghezza (dividendosi in cellule) non avrebbero risolto molti dei problemi che devono affrontare oggi (lentezza burocratica, perdita di volontari, poca conoscenza dei bisogni della base)?