Il declino dei social network cambierà anche le community?

Il declino dei social network cambierà anche le community?

Il declino dei social network cambierà anche le community?

I social network così come li abbiamo conosciuti nello scorso decennio, sembrano ormai in declino. Da spazi di incontro pieni di pensieri pubblicati da amici, stanno diventando sempre di più ambienti in cui si scrollano e si guardano contenuti suggeriti dagli algoritmi. Dove è finita la conversazione intima fra pari e che fine hanno fatto i tanti gruppi Facebook che chiamavamo community?

Il ruolo dei social network nella costruzione delle community

E’ infatti indubbio che le community così come le conosciamo oggi, sono nate anche grazie ai social network. Questi ci hanno abituati a dialogare con gli sconosciuti, a essere sempre in contatto con la nostra rete e hanno fornito un luogo dove aggregarci facilmente.

Il ruolo di Facebook, in particolare, è stato cruciale. I gruppi Facebook sono infatti stati uno strumento fondamentale per invitare le persone a connettersi intorno a un’idea, a un bisogno, a un desiderio condiviso. In questi gruppi ci si confrontava, si dialogava, e, spesso, ci si incontrava anche fuori dalla piattaforma. Nei casi più virtuosi si provava a co-costruire valore: che fosse per far crescere l’empowerment femminile, i rapporti di vicinato, il senso di un prodotto, le conoscenze sugli acquari e così via. Non era certo il social network che faceva la community, ma la volontà e la caparbietà di chi investiva e ci provava; Facebook, però, rappresentava un facile e immediato strumento di sperimentazione.

Cosa comporta il declino di Facebook per le community?

Il declino di Facebook non significa che non si ha più desiderio di aggregarsi. La maggior parte degli individui si è allontanata dal social network non perchè è finita la voglia di connettersi e dialogare, quanto per le scelte dell’azienda che hanno favorito i propri interessi, e non hanno saputo costruire sistemi di sicurezza affidabili, capaci di proteggere i dati e la privacy degli iscritti (lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica ha sicuramente lasciato il segno). Le persone, almeno fino a questo momento, sembrano mostrare ancora desiderio di aggregazione tanto che cercano nuovi luoghi. Chi, infatti, oggi vuole lanciare una community, ha ancora diversi canali per farlo.

Le piattaforme per le community oggi

Primi fra tutti Discord e Slack. Piattaforme non nuove, attive da tempo e che funzionano benissimo per accogliere le community (soprattutto la prima). Sono però social network non certo mainstream, che presentano uno scoglio di acquisizione piuttosto alto. Sono perfette per community di nicchia come quelle dei gamer, o degli sviluppatori, ma meno adatte per chi non è esperto di digitale. Per convincere questi target a scaricare l’applicazione e a superare lo scoglio dell’apprendimento, è necessaria una profonda motivazione e un forte valore aggiunto per restarvi.

Poi ci sono le chat di gruppo, i canali del momento. Per alcuni i veri eredi dei gruppi Facebook. Non è un caso che anche Instagram, Whatsapp, Telegram da qualche tempo offrano la possibilità di creare stanze di gruppo. Queste hanno il grosso vantaggio di poter essere organizzate in argomenti e funzionano soprattutto su invito. Sono, inoltre, applicazioni che si usano quotidianamente e quindi adatte a ogni genere di target. Se da un lato garantiscono la conversazione fra pochi – che possono risultare più intime ed efficaci -, dall’altro i piccoli numeri rischiano, a lungo andare, di non garantire il ricambio necessario per rimanere rilevanti ed efficienti.

C’è poi una terza possibilità, riservata a chi ha più disponibilità di budget: abbonarsi a una delle tante piattaforme in cloud che negli ultimi anni sono cresciute proprio per rispondere alle esigenze delle community. Queste permettono di non essere in balia dei capricci delle piattaforme e di avere a disposizione le analisi dei dati dei membri. Di contro hanno il problema di Discord e Slack e cioè di obbligare i propri membri a scaricare una nuova applicazione e non essere a portata di click. Niente di grave, ma lo sforzo che i membri devono impiegare per raggiungere la piattaforma deve essere ripagato con valore e continuità.

Insomma, le possibilità non mancano. Ma c’è comunque una frammentazione e chi vuole lanciare una community deve scegliere il canale più adatto con una maggiore consapevolezza avendo chiaro, almeno, obiettivi, target, strategia di acquisizione.

Il declino dei social network

Non basta un social per fare una community, ma ci vuole una strategia.

Il declino di Facebook, poi, stimola un altro paio di osservazioni. La prima è che se si vuole lanciare una community è pericoloso affidarsi ai canali social. Questi, infatti, non seguono l’interesse delle community ma quelli del loro business, che li porta a cambiare funzionalità e strumenti, secondo ciò che più gli conviene. E’ successo a Facebook che ha introdotto sempre più pubblicità, ma anche Twitter, oggi X, è in balia delle provocazioni e dei capricci del suo nuovo acquirente Musk. I social, quindi, sono perfetti luoghi di sperimentazione, ma sul lungo periodo è bene avere una strategia di uscita.

Non è un caso, infatti, che i gruppi che oggi sono sopravvissuti a Facebook sono quelli che hanno saputo innovare nel tempo la relazione con i propri membri. Tra questi c’è chi ha lasciato ai social solo l’aspetto promozionale e contemporaneamente ha portato gli utenti verso una piattaforma dedicata su cui ha sviluppato prodotti, servizi, eventi e così via; altri, invece, hanno continuato ad alimentare il proprio gruppo Facebook, ma hanno investito anche su una strategia più ampia che prevede, per esempio, il coinvolgimento dei membri sulla co-progettazione del prodotto, una presenza territoriale complementare a quella digitale, un sistema di ruoli e di ricompense per i membri della community.

Insomma ce l’hanno fatta tutti coloro che hanno capito che non è il canale che fa la community ma la capacità di costruire un sistema di appartenenza e una relazione che dura nel tempo. Chi, quindi, ha saputo coinvolgere i membri in tutta la strategia aziendale, mettendo la community al centro delle proprie  scelte e non limitandosi a gestire solamente un canale di conversazione (che non è poco ma non abbastanza).

In conclusione, il declino di Facebook sembra dirci quello che sapevamo già: che per fare una community ci vuole una strategia che preveda una fase di sperimentazione per impostare cosa fare sul lungo periodo. E questa fase di prototipazione, oggi più di ieri, deve avere un’idea su chi coinvolgere, perchè, come, dove. Perchè se fino a qualche anno fa, nell’epoca di Facebook, si poteva pensare di far leva sulla novità e su un canale che era un gran aggregatore di persone, oggi è sempre più evidente che per lanciare una community ci vuole una strategia consapevole e una visione che duri nel tempo.

 

(E se non sai come fare a progettare il contesto in cui far nascere e crescere una community, dai un occhio al nostro corso in partenza 😉)

 

 


Photo: “Daytime image of an abandoned parking lot, consumed by vegetation. In the background is a skyscraper in total decay. In the foreground is a rusty wihte sign with visible rust signs” by Dall-E

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