I cittadini chiamano, le PA rispondono?

I cittadini chiamano, le PA rispondono?

Che cosa presteresti più volentieri ai viaggiatori in arrivo per Expo 2015? La bicicletta (52% se a pagamento), il wifi (48%) il trapano (38%), una stanza per dormire (33%), e magari anche l’intera casa (6%). E’ quanto emerge da una ricerca di Duepuntozero Doxa presentata a Sharexpo il 15 aprile scorso, l’evento che ha dato avvio a un percorso volto a individuare proposte e iniziative per la sperimentazione dei servizi di sharing economy durante Expo. Lo studio ha evidenziato, inoltre, che Il 74% degli italiani tra i 18 ed i 64 anni è aperto alla condivisione (il 67% in Lombardia) e che 1 su 3 (il 34%) ha già utilizzato qualche servizio collaborativo (30% in Lombardia). Una propensione che non stupisce, se si pensa alle tante iniziative che stanno nascendo per conto di cittadini sempre più attivi e desiderosi di condividere tra loro beni, competenze, tempo e spazio. Crescono numerose, per esempio, le social street (strade sociali abitate da persone che si incontrano su Facebook per collaborare a rendere migliore la loro vita e il loro quartiere), significativa la veloce affermazione del carsharing a Milano, o l’autorizzazione del regolamento sull’amministrazione condivisa del Comune di Bologna per agevolare le iniziative promosse dai cittadini volte a valorizzare la propria comunità; interessanti anche iniziative minori come MappiNA, mappa collettiva della città per tracciare una narrazione di Napoli al di fuori dei luoghi comuni, e “Cittadini creativi”, esempio di co-design e di servizi collaborativi pensati dai cittadini di un quartiere centrale di Milano promosso dal Politecnico del Design. E gli esempi potrebbero continuare perché la tecnologia si è semplificata a tal punto che ha reso i cittadini non solo più consapevoli e informati, ma anche capaci di cambiare quello che non funziona più.

Come intercettare questo desiderio di partecipazione attiva dei cittadini al fine di valorizzarlo e farlo crescere? Se lo chiedono in molti comprese le istituzioni stesse. Lo scorso 9 aprile, per esempio, il Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Mauro Bonaretti, in un incontro informale organizzato da Forum PA, ha sottolineato la necessità di indirizzare e favorire l’attivismo delle comunità per recuperare la distanza che oggi c’è fra cittadini e istituzioni che se, non si colma, rischia di diventare sempre più profonda.

L’occasione di Expo è ghiotta se si vuole provare a sperimentare modelli innovativi di gestione urbana e del territorio. Almeno così credono gli organizzatori di Sharexpo -Collaboriamo.org, Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM), ModaCult-Università Cattolica di Milano e Secolo Urbano -. Sharexpo è un percorso che ha l’obiettivo di preparare un documento di indirizzo rivolto alle pubbliche amministrazioni che elencherà opportunità, sfide e metriche per adottare i servizi di sharing economy durante Expo. Lo studio sarà il risultato della consultazione degli stakeholder (avvenuta durante l’incontro del 15 aprile scorso) e del lavoro di 13 esperti multidisciplinari e verrà presentato alla stampa e al territorio il prossimo giugno. L’Esposizione, infatti, con i suoi 15 – 25 milioni di visitatori previsti in un semestre, dovrà sostenere un picco della domanda di servizi sul territorio che l’offerta tradizionale probabilmente non riuscirà a soddisfare. Il travolgente successo del Fuori Salone e l’energia che ha portato con sé fanno pensare credibile e possibile un Fuori Expo dove l’offerta di accoglienza, ristorazione, trasporto, promozione turistica e culturale, sia promossa non solo dalle strutture tradizionali ma anche dai cittadini. I privati potrebbero prestare, a pagamento, la propria casa (secondo la ricerca condotta da Duepuntozero sarebbero disponibili a farlo o a prenderlo in considerazione il 41% dei lombardi), l’auto – attraverso servizi di car sharing p2p (35%) o ridesharing (67%) -, il proprio garage (il 68%), ma anche le proprie competenze, organizzando cene a casa propria, o offrendosi come guide turistiche (disponibile il 67%). Non solo i cittadini ma gli stessi negozianti, oggi così sofferenti, potrebbero sfruttare i propri spazi inutilizzati, affittandoli o inventandosi esposizioni, e diventare il luogo di riposo e di accoglienza per i visitatori. Questo modello valorizzerebbe Milano e tutto il territorio lombardo. La rete di cascine intorno alla città, per esempio, potrebbe diventare snodo di informazioni, cultura, accoglienza. I cittadini, attraverso questi servizi, realizzerebbero entrate extra, diventerebbero parte attiva dell’evento, e avrebbero a disposizione nuovi servizi. I visitatori, invece, avrebbero l’occasione di sperimentare un viaggio molto più intimo ed esperienziale.

Può sembrare fantascienza invece la struttura è già predisposta. La maggior parte dei servizi collaborativi descritti esiste già e con l’aiuto della cittadinanza attiva e soprattutto del terzo settore (che potrebbe diventare protagonista dei diversi servizi grazie alle sue strutture sparse sul territorio), potrebbe raggiungere quella massa critica necessaria per decollare.

Se i cittadini sono predisposti e i servizi esistono, manca, invece, la regia che colleghi il tutto e lo metta in moto. Le amministrazioni del territorio interessato da Expo hanno l’opportunità di svolgere questo ruolo agendo come abilitatori, funzione che la Pubblica Amministrazione dovrà sempre più imparare a ricoprire se desidera dialogare con comunità attive e partecipative. Comune e Regione dovrebbero regolare questi servizi che oggi agiscono in una zona grigia sia dal punto di vista normativo che fiscale, semplificando e dettagliando le norme esistenti o creandone delle nuove. Inoltre, dovrebbero organizzare il percorso facendo leva anche su tutte quelle aziende pronte ad entrare a far parte di una progettualità innovativa capace di portare nuovi prodotti e servizi. Infine le amministrazioni dovrebbero investire in una grande campagna di comunicazione che, a partire da un logo, mostrasse tutto il suo impegno e fosse capace di portare in tutto il territorio (compreso nei quartieri più emarginati ma non per questo meno ricchi di valore) l’opportunità di creare una città condivisa.

In questo modo Expo 2015 invece di lasciare strutture da abbattere come accaduto per Italia90, lascerebbe al territorio nuovi servizi, occupazione, e più coesione sociale. E anche il paradosso della sharing economy emerso dalla ricerca di Duepuntozero – vorrei condividere per conoscere nuove persone, ma non lo faccio perché ho paura degli sconosciuti –potrebbe, così, essere risolto. –

Articolo apparso su Nova24 ore domenica 20 aprile 2014