
12 Giu Come gestire un’azienda come una community | Intervista a Alessio Fattorini – Nethesis
In un momento di grandi dimissioni, di ricerca di senso e di motivazione per quello che si fa, di hybrid working, ma anche di crisi demografica, le aziende sempre più spesso si chiedono come affrontare queste questioni, come reimmaginare la propria organizzazione interna, come ricreare un senso di appartenenza e come riuscire a trattenere i propri lavoratori e attrarre nuove figure professionali. Le strategie messe in campo sono diverse ma solitamente sono ancora azioni spot, piccole sperimentazioni che non portano di fatto a grandi cambiamenti. In alcuni casi queste sperimentazioni chiamano in causa il concetto di community, che in realtà può offrire tante risposte alle sfide che le aziende devono affrontare. In questa intervista Alessio Fattorini spiega come la sua azienda, Nethesis, sia organizzata intorno a un valore condiviso e come trasparenza, orizzontalità, apertura, condivisione e collaborazione aiutino a tenere basso il turn over e a mantenere uniti e motivati i collaboratori.
I compiti di un community manager in azienda
Mainieri: -Tu sei community manager interno e, se non sbaglio, gestisci direttamente due community: una dei clienti e una interna dei dipendenti. Cosa fai tutti i giorni? Quali sono le tue attività principali?
Fattorini: -Sono un community addicted, quindi mi attrae tutto quello che aiuta e incentiva le persone a lavorare e a collaborare insieme. All’interno di Nethesis mi occupo di comunicazione e di community. In particolar modo la mia azienda è partita con una community che riguardava il prodotto, quindi noi lavoriamo molto con l’open source, una community strettamente tecnica. Abbiamo messo insieme, a livello internazionale, tutte le persone che volevano collaborare al prodotto. Successivamente, è nata una community di clienti, riservata soltanto ad aziende che lavorano nel mondo dell’IT. Io, nel mio lavoro, faccio da collante tra le community che stanno fuori l’azienda e la community interna, cercando di portare fuori e dentro tutte le belle storie che vengono dalle community. Inoltre, animo le community e cerco di tenere sempre attive le persone e coinvolgerle per sviluppare nuove iniziative.
Come gestire un’azienda come una community
-Essendo in pochi in azienda, 36 dipendenti, possiamo dire che la tua organizzazione è una community. Qual è il valore che vi tiene uniti, che vi motiva, che fa sì che possiate definirvi una community e non un’azienda tradizionale?
-Tutto quello che creiamo lo facciamo insieme in un clima di collaborazione, questa è la cultura che ci tiene uniti. Quello che ci motiva è soprattutto il fatto che siamo tutti molto nerd, molto appassionati della tecnologia e del mondo open. Quindi c’è un forte valore della condivisione, dell’informazione, del lavoro di gruppo, della voglia di innovare e di trovare sempre delle vie alternative, sia a livello di codice che a livello di organizzazione interna. Queste sono tutte le cose che ci tengono insieme, oltre alla voglia di stare insieme, la goliardia e l’allegria. Questi sono i vari valori che ci accomunano.
“Cercare di contaminare le aziende con la cultura della community è un modo per vincere le sfide che ci sono già ora e che emergeranno sempre di più nel futuro. Il manager di domani deve essere un pochino community manager.”
-A livello di gestione, di governance, come cambia la struttura di un’azienda simile a una community e quanto incide il numero dei dipendenti?
-Sicuramente il numero incide, la community riesce meglio in un’azienda con pochi dipendenti piuttosto che nelle grandi organizzazioni. Però questo non preclude il fatto che, anche nelle aziende con molti dipendenti, si possano creare delle micro community, non è detto che si debba considerare tutta l’azienda, potrebbero essere soltanto dei team. A livello di governance, da noi, è tutto molto flat, è tutto basato sulla meritocrazia e sulla responsabilità. La governance rispecchia molto quella di una community abbastanza orizzontale, con persone molto specializzate nei loro ambiti e dei coordinatori che hanno il compito di far lavorare bene i team e, dall’altra parte, di riportare quello che succede all’interno dei team. Anche le scelte, difficili o meno, vengono sempre fatte con delle plenarie in cui si organizza, si portano gli argomenti, si dibatte, si difendono le proprie posizioni. Si tenta sempre di avere alti livelli di orizzontalità e condivisione degli intenti.

I rischi e i vantaggi di una azienda “poco tradizionale”
-Non ci sono dei rischi ad aprire così tanto un’azienda?
-Chiaramente, nel senso che devi stare un pochino attento. Però, secondo me sono molti di più i pro che i contro. Ovviamente per farlo devi agire in maniera intelligente, devi fare sentire le persone parte di un qualcosa di più grande, e questo è sempre più un vantaggio rispetto a tenerli all’oscuro di determinate scelte o situazioni. Il rischio principale è l’over-comunicazione, che ci sia talmente tanta comunicazione che poi ti perdi delle informazioni. Spesso si ha bisogno di filtri, che ci sia qualcuno che ti racconti in poche parole quello che sta succedendo in un team, in un ambito ecc. Il problema è che quando c’è così tanta informazione è difficile capire quali sono le informazioni importanti, però noi abbiamo la condivisione by default. Ogni informazione viene messa in condivisione, anche semplicemente per avere un feedback.
-Quali sono i vantaggi di gestire un’azienda in maniera aperta?
-Tenere tutti sempre coinvolti, fare in modo che le persone siano a conoscenza delle cose, che possano esprimere il loro pensiero e che abbiano le informazioni per poter dire la loro. Alcune volte non riescono a parlare proprio perché non conoscono determinate situazioni. In questo modo le persone sanno che possono intervenire, che possono mettere sé stessi all’interno dell’organizzazione, che anche l’ultima persona può tirare fuori un’idea nuova e mettere il suo pezzettino di puzzle in un puzzle molto più grande. Questo sicuramente è uno dei fattori più importanti che tiene legate le persone e permette anche all’azienda di avere un turnover molto basso.
“Quando si gestice un’azienda in maniera aperta (…) le persone sanno che possono intervenire, che possono mettere sé stessi all’interno dell’organizzazione, che anche l’ultima persona può tirare fuori un’idea nuova e mettere il suo pezzettino di puzzle in un puzzle molto più grande.”
La community per le grandi aziende
-Gestire l’azienda come una community ha una serie di vantaggi, che spesso coincidono con le richieste e i bisogni dei lavoratori. Di conseguenza, la community potrebbe essere una soluzione anche per le grandi aziende più tradizionali?
-Secondo me la community è un mindset nuovo che permette ai manager, alle persone che devono gestire i team, di poter lavorare sull’entusiasmo, sulla passione, sull’autonomia, sulle capacità di lasciare un segno, di essere importanti, di lavorare in un team più allargato, che non si limita alle due o tre persone intorno alla scrivania. Queste sono tutte dinamiche che nelle community sono normalissime, mentre le aziende devono ancora scardinare tanti preconcetti tradizionali. Però cercare di contaminare le aziende con la cultura della community, secondo me è un modo per vincere le sfide che ci sono già ora e che emergeranno sempre di più nel futuro. Il manager di domani deve essere un pochino community manager, io sono convinto di questo.
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