Data as a commons: l’apertura dei dati come asset strategico della governance collaborativa

Data as a commons: l’apertura dei dati come asset strategico della governance collaborativa

Di Davide Arcidiacono

Gli Open Data sono un nuovo volano dell’innovazione sociale basato sulla commons-based peer production,  definiti dalla Open Knowledge Foundation come i “dati che possono essere liberamente utilizzati, riutilizzati e ridistribuiti”. Questi rappresentano la preziosa materia prima per poter sviluppare e co-produrre nuovi servizi digitali (smart services). La questione cruciale risiede non solo nell’accesso ma anche nel fatto che devono essere resi disponibili n formato interoperabile, senza restrizioni tecniche e legali che ne limitino il riutilizzo, favorendo l’integrazione con altre banche informative e la redistribuzione di potenziali opere derivate anche per fini commerciali. Secondo L’Agenda Digitale Europea bisogna liberare soprattutto le PSI (public sector information), creando un nuovo modello di amministrazione che, incorporando i principi del paradigma collaborativo, sviluppa e supporta lo sviluppo di nuovi servizi a partire dalla liberazione delle risorse informative raccolte contribuendo a dare nuovo impulso alla digital economy nell’area UE.

Parlare di Open Data comporta andare oltre la rete e la rivoluzione digitale come nuovo “spazio” di aggregazione e discussione politica a disposizione della società. Significa sviluppare “tessuti connettivi” tra amministrazione e cittadini. Sempre più si parla di citizen sourcing, ma anche di quello che O’Reilly chiama government as a platform. Si tratta di cambiare il “patrimonio genetico” del governo della cosa pubblica così come lo abbiamo inteso finora. Si tratta di mutare l’infrastruttura e il paradigma di relazione favorendo processi di auto-produzione e co-produzione, sfruttando l’«intelligenza collettiva» dei cittadini partire proprio dai processi di liberazione dei dati della PA. Per questa via si andranno a sollecitare l’emergere di nuovi modelli collaborativi tra istituzioni e comunità locali e gli output che ne deriveranno non solo permetteranno lo sviluppo di strumenti di controllo (la cosiddetta “democrazia monitorante” di cui parla Keane), ma si solleciterà soprattutto per lo sviluppo di nuovi servizi e il miglioramento di quelli esistenti, supportando altresì i processi decisionali di policy making.

Se l’Open Data è dunque la premessa essenziale di un Governo Aperto (Open Gov). Ciò significa superare l’ambiguità oggi esistente nel dibattito pubblico nostrano tra dati aperti e trasparenza. Le risorse informative rilasciate per adempiere agli obblighi legati alla trasparenza amministrativa non sono rilasciati necessariamente in formato aperto e interoperabile, limitando di fatto i processi di co-produzione e co-generazione di nuovi prodotti/servizi.  Allo stesso tempo, Il rilascio di open government data non implica tanto realizzare una “trasparenza per pochi”, come qualcuno sostiene, ma “liberare” per “ridistribuire” il valore di risorse e processi che rischiano di rimanere latenti o persino soffocati. Per farlo bisogna guardare ai dati aperti come “beni comuni”, ovvero risorse indispensabili alla vita di tutti e all’esercizio della cittadinanza.

Il modello di ispirazione è quello anglosassone che guarda alla creazione di community che producono e rielaborano dati in maniera collaborativa mappando il territorio e fornendo servizi interattivi, come “Fix my streets” o “Open Street Map”. Questi servizi si alimentano a partire dall’operato di aggregazioni di comunità tecnologiche e civiche basate sul valore dell’openness che hanno fatto propria l’etica “hacker”, quale antesignana di un modello di programmazione/produzione creativo e collaborativo. La loro apertura è  necessaria al fine di impedire la totale appropriazione o estrazione esclusiva di valore da parte di privati, ma anche il depauperamento o la stagnazione di tali risorse a causa della “chiusura” delle PA. La prospettiva degli Open Data come beni comuni è dunque una prospettiva che guarda al futuro delle nostre città, che sempre più aspirano ad essere Smart&Sharing.

I dati dell’Open Data Barometer, che ogni anno dal 2013 ci danno il ranking mondiale dei processi di apertura e implementazione del sistema dei dati aperti, confermano UK e USA come paesi leader in relazione ai tre sub-indicatori misurati: readiness, implementation ed emerging impacts. L’Italia era solo  20esemia nel 2013 e oggi è persino 21esima, mentre alcuni paesi mediterranei come la Francia scalano la classifica posizionandosi dal 10ecimo al secondo posto, a pari merito con gli Stati Uniti. Nel duro gioco dei ranking internazionali certamente l’Italia sconta un deficit storicio-culturale in tema di digitalizzazione e innovazione della PA, oltre che limiti infrastrutturali. Tuttavia, segnali di estrema vitalità del nostro contesto nazionale si intravedono e sono sempre più tangibili. Un esempio è  la creazione di un forum multistakeholder, lanciato dalla Ministra Madia, per la stesura del nuovo Open Government Action Plan, ma lo è anche la straordinaria vitalità di comunità di civic hacktvist, come quelle riunite nel gruppo nazionale Spaghetti Open Data, o in community locali ( come Open Data Trentino, Open Data Sicilia, o Open Data Matera, Open Data Lecce, Open Data Milano, ecc.), che a livello regionale o municipale si mobilitano sia come watchdog della pubblica amministrazione in tema di dati aperti, sia per svilupparne l’engagement, la collaborazione e la co-produzione con la PA. Il loro ruolo è fondamentale nel dialogo con un’amministrazione pubblica italiana tendenzialmente chiusa e arroccata su posizioni difensive e conservative. I civic hacktivist e le community attive sul tema dell’Open Data hanno il compito di far capire le potenzialità dei processi in atto, intercettando gli stimoli che si intravedono a livello nazionale,  promuovendone altresì  il rilancio sul piano propositivo e implementativo. L’azione dei data civic hacktvist è necessaria a far comprendere agli amministratori pubblici la natura delle PSI come beni comuni, le loro concrete potenzialità in termini di servizio e di benessere dei cittadini, i quali da sudditi avrebbero modo di diventare partner nella gestione del benessere comune.

Open Data as a Commons: i dati come strumento di governance collaborativa delle città, sarà anche il titolo di una delle sezioni del prossimo Sharitaly che si terrà a Base Milano il 15-16 novembre. All’interno di questa sessione non ci si limiterà a parlare di cosa sono concretamente gli Open Data e quale valore possono generare per la Città, ma si metteranno le mani “in pasta”, creando un vero e proprio laboratorio e  percorso didattico-esperienziale per imparare a lavorare con i dati aperti. Cittadini attivi, giornalisti, startupper, ricercatori, funzionari della PA, attivisti, studenti, e chiunque voglia conoscere cosa significa lavorare con i dati aperti e comprenderne le potenzialità, saranno coinvolti in questo percorso di approfondimento, con il supporto di Forum PA. La sessione vede coinvolti come speaker e mentor gli esperti più importanti sul tema che il panorama nazionale possa offrire: Maurizio Napolitano, coordinatore del Digital Commons Lab della Fondazione Bruno Kessler; Federico Morando, già Managing Director e direttore della ricerca del Centro Nexa su Internet & Società (PoliTO) e co-fondatore di Synapta.it; Matteo Brunati, civic hacker e Community Manager per SpazioDati; Michele D’Alena, civic hacker e digital innovation advisor; Gianni Dominici, Direttore Generale di Forum-PA.

Davide Arcidiacono è ricercatore in Sociologia Economica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Lavora sui temi del consumerismo, stili di consumo sostenibile e modelli di Capitalismo.