Cresce il social lending…almeno all’estero

Cresce il social lending…almeno all’estero

Avevo bisogno di un prestito per eseguire alcune riparazioni della mia casa in Scozia – racconta Louise di Bristol su Zopa.com -, ho chiesto un finanziamento in banca ma nonostante i miei vent’anni di storia creditizia non mi è stato concesso, così ho cercato in rete e ho trovato Zopa”. Con 2.000 sterline raccolte sulla piattaforma, Louise aggiusta il tetto, le finestre e le serrature della porta della sua abitazione. Matt, invece, ha 25 anni, e vive a Suffolk, sempre in Gran Bretagna. Neolaureato ha già messo da parte 10.000 sterline che ha deciso di investire in Zopa, calcolando che potrebbero diventare 22mila prima della pensione.

Di storie come queste sui servizi di social lending o p2p lending, come viene più comunemente chiamato il prestito tra pari, ce ne sono moltissime. Su queste piattaforme, infatti, si incontra, da un lato, chi non può permettersi spese extra per un matrimonio, per un’auto nuova, per sistemare casa, ma anche piccolissime imprese che hanno bisogno di ampliare o semplicemente di continuare la propria attività imprenditoriale; dall’altro, chi ha qualche soldo in più da capitalizzare: pensionati, lavoratori, studenti che decidono di investire i propri risparmi su queste piattaforme perché il percorso di gestione del credito è più trasparente e, soprattutto, più redditizio. Entrambe le controparti, infatti, eliminando l’intermediazione delle banche, riescono a ottenere tassi molto vantaggiosi arrivando anche a più del due per cento rispetto a quelli tradizionali.

I rischi di insolvenza ci sono, ma vengono mitigati dal fatto che l’investimento è diversificato su differenti progetti (in alcuni casi scelti dagli stessi prestatori) e che le piattaforme si preoccupano di verificare la storia creditizia delle persone (anche se con parametri diversi da quelli tradizionali), di accettare o rifiutare il prestito e anche, in alcuni casi, di recuperare il credito. “Il successo di queste piattaforme – afferma Giuliana Borello, ricercatrice del dipartimento di Economia aziendale dell’Università di Verona – non è solo giustificato dal maggiore tasso di rendimento (ad oggi non verificato data la scarsa disponibilità di dati disponibili), ma soprattutto dalle motivazioni sociali che spingono i soggetti in difficoltà ad avvicinarsi a queste piattaforme”.

L’aumento delle richieste di credito dovute alla crisi, la fiducia nel sistema finanziario ai minimi storici e il diffondersi dei comportamenti collaborativi, infatti, hanno fatto crescere queste piattaforme molto velocemente, almeno all’estero. Il social lending è una delle quattro modalità in cui avviene il finanziamento dal basso (crowdfunding), la più vecchia e quella che raccoglie di più. Secondo il report Massolution nel 2012 le piattaforme di prestito fra privati hanno raccolto in totale 1,2 miliardi di dollari (+111% rispetto all’anno precedente) arrivando nel 2013 ad oltre 2 miliardi. “Il social lending sta crescendo non solo negli Stati Uniti, dove ormai è quasi normale che gli investitori privati abbiano nel loro portafoglio anche prestiti peer to peer, ma anche in Europa e in altre parte del mondo”, afferma Maurizo Sella, ad e fondatore di Smartika, uno dei due operatori italiani di social lending (l’altro è Prestiamoci).  Stati Uniti e Europa infatti totalizzano circa il 95% dell’intero mercato mentre emergono anche Asia e Oceania. In America del Nord, Lending Club, la prima piattaforma al mondo in cui Google lo scorso anno ha investito una quota pari a 125 milioni di dollari, è cresciuta più del 100% annuo e finanziando dalla sua nascita più di 4miliardi di dollari di prestiti, mentre Prosper, altro grande player negli Usa, ha raggiunto più di 1,1 miliardi di dollari. In Inghilterra, invece, la sola Zopa, in nove anni di operatività ha raggiunto un totale di 529 milioni di sterline prestate, con più di 190 milioni registrate nell’ultimo anno.

Il mercato italiano, invece, è molto più prudente. Secondo l’analisi semestrale delle piattaforme italiane di crowdfunding curata da Ivana Pais e Daniela Castrataro (si veda altro articolo in pagina, ndr), le due piattaforme di social lending nostrane raccolgono solo 28 milioni di euro. “In Italia scontiamo l’incidente in cui è incorsa Zopa nel 2009 – afferma Antonio Coppolecchia, manager di Accenture Interactive -, quando la piattaforma è stata bloccata dalla Banca d’Italia e cancellata dall’albo degli intermediari”. In quel momento Zopa operava già da un anno, durante il quale aveva raccolto 7 milioni di euro e aveva raggiunto una community composta da 5.000 membri. Il social lending era partito bene ma l’arresto della Banca d’Italia frenò la fiducia dei consumatori e l’espansione anche di Prestiamoci che stava partendo proprio in quel momento. “Abbiamo messo in conto almeno altri due o tre anni prima di iniziare a crescere in maniera importante”, spiega ancora Maurizio Sella, allora ad di Zopa e oggi di Smartika. “Questo è il tempo che le piattaforme straniere più conosciute hanno impiegato a decollare”. Diffidenza nel sistema, gioventù delle piattaforme, ma anche le solite arretratezze del sistema digitale italiano, e una certa abitudine a gestire il risparmio in maniera tradizionale, sono tutti i fattori che rallentano la crescita del social lending nel nostro paese. “Tuttavia il mercato è in fermento anche in Italia, molte piattaforme attendono a brevissimo di essere autorizzate – afferma ancora Giuliana Borello -, pertanto si attende a breve anche una specifico intervento delle autorità di vigilanza al pari di quanto già avvenuto lo scorso 1 aprile in Gran Bretagna”.

Articolo apparso su Nova24 il 14/05/2014