10 consigli per trasformare le nostre città in shareable cities

10 consigli per trasformare le nostre città in shareable cities

“Una città condivisa permette ai residenti di mettere insieme, in modo efficiente e sicuro, beni e competenze – dagli spazi alle automobili, dalle competenze alle utility – per creare comunità più forti, sane e connesse”. Così April Rinne, esperta di shareable city, definisce che cos’è una città condivisa e quali sono i suoi benefici. Le città sono i luoghi che favoriscono la collaborazione per eccellenza. Sono cresciute, prosperate, cambiate grazie ai cittadini e ai loro legami. Oggi la crisi e le nuove tecnologie amplificano questi legami e creano nuove opportunità. Sempre più spesso, infatti, i cittadini, si riuniscono, condividono esperienze ma anche risorse, tempo denaro, competenze, creando nuovi modelli di servizio (servizi collaborativi) ma anche nuove forme di reciprocità e di gestione della cosa pubblica (le social street). Tutti servizi promossi dal basso, da cittadini attivi che mettendo insieme beni e risorse risparmiano (in alcuni casi anche guadagnano anche qualcosa), fanno bene all’ambiente e si sentono un po’ meno soli. Servizi che, tuttavia, per crescere, affermarsi e diventare parte integrante del tessuto urbano devono affrontare sfide normative, organizzative e culturali che possono essere superate solo attraverso un cambio di paradigma istituzionale. Le amministrazioni non possono più agire come “cane da guardia” né come “dispensatore di servizi”, ma devono diventare facilitatori, governatori di reti di collaborazione tra diversi soggetti tutti interessati alla realizzazione di uno scopo comune. Ecco dunque alcuni consigli affinché questo nuovo stato – partner possa lavorare per incoraggiare i servizi collaborativi al fine di creare città sempre più condivise e resilienti.

  1. Facilitare la redazione di un regolamento di indirizzo sulla sharing economy che permetta di costruire una cornice amministrativa coerente nella quale includere tutti i cittadini, compresi chi da questi servizi potrebbe sentirsi svantaggiato.
  2. Supportare la redazione di un manuale dei servizi collaborativi che sia di riferimento per chi voglia progettare nuovi servizi ma anche per adeguare quelli esistenti.
  3. Mappare i servizi collaborativi esistenti sia online che offline e integrandoli in maniera programmatica al fine di aumentarne visibilità, efficacia e scalabilità.
  4. Agevolare la crescita dei servizi collaborativi esistenti e la nascita di nuovi con aiuti economici e percorsi di incubazione.
  5. Facilitare il coinvolgimento di aziende “tradizionali” affinché possano comprendere i benefici dell’economia della collaborazione e possano stringere partnership con i diversi servizi e attivare nuovi prodotti per far crescere l’offerta e garantire maggiore credibilità ai servizi stessi.
  6. Creare sinergie fra servizi collaborativi e quelli del terzo settore, rafforzando, così, il rapporto fra il mondo digitale e il territorio, e portare ai servizi collaborativa quella massa critica necessaria per decollare e al terzo settore nuove opportunità di crescita e di cambiamento.
  7. Diventare attore delle diverse piattaforme come esempio per i cittadini ma anche, e soprattutto, per sperimentare opportunità e difficoltà (come già fatto dal Comune di Messina)
  8. Favorire l’intero processo con una campagna  di comunicazione capace di trasferire i valori della collaborazione e di mostrare l’impegno delle amministrazioni nel promuoverli.
  9. Stabilire precise linee guida su come rispettare la legge e pagare le tasse, per incoraggiare i cittadini ad abbracciare i diversi servizi collaborativi nel pieno rispetto delle leggi.
  10. Costruire una piattaforma digitale che svolga la funzione di punto di ingresso per tutti i servizi per favorire la correlazione dei servizi e la messa a comune di utenti ed esperienze.

Questo articolo è un estratto rielaborato del documento “Sharexpo, Milano città condivisa per Expo 2015”.

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